Le case popolari di Vittorio De Feo a Ponte della Pietra
In un frammento di Ponte della Pietra esistono costruzioni architettoniche d’autore. Sono le case popolari Vittorio De Feo, logorate dal tempo e dalla scarsa manutenzione. Trovarle, per chi viene da altrove, non è semplice. Per strada incontriamo un anziano signore per niente frettoloso e gli mostriamo, dallo schermo del cellulare, le vecchie foto dei condomini che stiamo cercando. Possono essere ovunque, nella periferia di Milano o in quella di Firenze, fortunatamente lui le riconosce subito e ci dice che siamo nel posto giusto, abbiamo sbagliato solo di un centinaio di metri. Prima di condurci verso la destinazione, ci dice che in quelle abitazioni vivono gli stranieri, che quelle brutte case sono più popolari del complesso popolare in cui vive lui. Ecco la lotta alla supremazia dell’uomo sull’uomo dura da scalfire. Ringraziamo e andiamo via.
Il complesso è molto particolare, due bassi edifici ai lati e uno a torre al centro, in mezzo una piazza quadrata con una fontana. Le case sono di un grigio pallido, con finestre, scale a chiocciola e portoni verdi. Fra i vari blocchi degli edifici, uno salta agli occhi rispetto agli altri, è l’unico che non sembra abbandonato. I mattoni grigi e le scale a chiocciola verdi sono ricoperti da rampicanti, piante e gerani. Non c’è nessuno che si affaccia dalle finestre, nessuno che grida da un balcone all’altro, gli adulti saranno al lavoro e i bambini a scuola. Restano però tracce di quotidianità; panni stesi, scivoli di plastica nella piccola piazza, monopattini lasciati sul marciapiede, panchine spostate in posti inusuali e altalene per bambini molto piccoli.Tutto è in disordine, tutto è caos, e quando l’uomo non c’è i gatti diventano i padroni. Qua sono tantissimi, piccoli, graziosi, svegli, addormentati, brutti, sporchi e alcuni anche cattivi. Questi animali circondano l’intera struttura e la fanno diventare la Disney World dei gattari.
Alle porte del ‘900 si iniziò a pensare a delle case popolari per le persone meno abbienti e l’Istituto Autonomo Case Popolari diede il via all’edilizia residenziale pubblica. Nel corso degli anni si susseguirono diverse regolamentazioni a riguardo, sia in epoca fascista che nel dopoguerra, insieme alle case si andava creando un nuovo tessuto sociale. Quei sobborghi ai margini, sempre indagati da Pier Paolo Pasolini in film come Mamma Roma o in libri come Ragazzi di vita, li ritrovi con le dovute differenze nell’Italia del passato e nell’Italia di queste periferie.
Sono gli anni Ottanta quando l’Iacp progetta diverse strutture residenziali per un perimetro di Ponte della Pietra. Il progetto non soddisfa il Comune di Perugia, che incarica della realizzazione l’architetto napoletano Vittorio De Feo. De Feo non è un architetto qualunque, è una delle figure principali del periodo dal dopoguerra in poi. Studioso dell’architettura sovietica, ha lavorato in tutto il Paese. In uno dei suoi primi lavori si occupò, nel 1963, del Circolo aziendale della Rai, proseguì con la ricostruzione del quartiere di San Giovanni a Napoli, il restauro dell’ambasciata Italiana a Berlino e la costruzione della sede della Provincia di Pordenone. In Umbria oltre al complesso di residenze di cui ci stiamo occupando ha progettato anche l’Istituto tecnico e per geometri di Terni e a Perugia, precisamente in via Dalmazio Birago, la scuola primaria Giovanni Cena.
Non era la prima volta che De Feo costruiva case popolari, l’aveva già fatto a Napoli e a Roma, il che ci riporta a pensare nuovamente a uno scenario pasoliniano. Ponte della Pietra come Centocelle. Sono sempre gli anni Ottanta, e continua il processo avviato già da almeno due decenni, quello che Pasolini appunto, ha definito sviluppo senza progresso. Era il tempo in cui la popolazione migrava dalla campagna verso la città, spostamenti differenti da quelli a cui siamo abituati oggi. Si poteva assistere alla morte dell’origine contadina, soppiantata dalla nuova dimensione consumistica. L’architetto probabilmente considerava bene questi aspetti della società del tempo e la sua creazione tenne in considerazione il pensiero, le necessità, o le abitudini di chi avrebbe abitato gli spazi da lui progettati.
Paolo Belardi, ingegnere civile edile e professore di composizione architettonica e urbana dell’Università degli studi di Perugia, ha un ricordo nitido di Vittorio De Feo, suo maestro e collega. Pensava che la buona architettura potesse migliorare la vita delle persone, dice Belardi, e l’impegno che metteva nel suo lavoro era lo stesso sia in città che in periferia. Non aveva pregiudizi, al contrario di altri architetti, che vedevano nel progettare per la periferia un vero abbrutimento. Vittorio De Feo quando ha costruito questi edifici non ha dimenticato i contadini destinatari delle abitazioni. Belardi ci fa notare come l’aspetto vernacolare fosse presente negli edifici e venisse rappresentato proprio dalla presenza delle cantine, uno spazio altro, oltre le mura di casa. Una scelta inusuale. Il progetto fu consegnato nel 1983 e i lavori iniziarono solo nel 1986. De Feo, oltre ad essere l’architetto, era il direttore artistico di quelle che definiva le case popolari di Perugia, come se non ne fossero esistite altre. Si verranno invece a creare, sempre nella zona, nuove strutture che, come le sue, rappresentano un vero esempio di architettura d’autore.
Vicino a una cantina, adesso il sosia del rapper americano The Notorious B.I.G. chiacchiera con una piccola signora che porta a spasso il suo cane. Il ragazzo vive da sempre in questi palazzi, la signora è arrivata da poco. Entrambi trovano gli edifici brutti e vecchi, dentro e fuori. Se qualcosa si rompe, nessuno viene ad aggiustarlo, questo è il mantra al contrario che ripetono sempre. Ci sono ascensori sbarrati, alcuni di loro rotti, altri mai messi in funzione. Notorius, più loquace della sua amica, ci racconta che la fontana che vediamo oggi, piena di rifiuti e giocattoli, una volta era funzionante. Un signore che abita in quella struttura era solito prendersene cura, pescava e metteva i suoi pesci dentro la vasca. Ha smesso di impiegare le sue energie quando ha visto che nessuno oltre lui se ne occupava.
Queste abitazioni spogliate del loro valore artistico, escluse dalla riqualificazione, giacciono sulla terra di nessuno. É questo a renderle un luogo autentico o forse, per due passanti, è proprio qua che c’è ancora la possibilità di vedere i luoghi che, un giorno, saranno nei testi del prossimo rapper o minuziosamente descritti dalla nuova poetessa del secolo. Ho chiesto all’architetto Paolo Belardi se secondo lui Vittorio De Feo avrebbe deciso di abitare in queste strutture, ha risposto assolutamente sì. All’inizio la sua affermazione mi ha lasciato perplessa, ma cercando sul web i lavori di De Feo ho visto che la sua casa di Procida era simile alle case popolari che progettava. Un piccolo stabile color rosa pastello con le stesse forme geometriche, e sovietiche, di quelli di Ponte della Pietra. A Procida questa casa è l’espressione del lavoro artistico del suo autore mentre le dimore di Ponte della Pietra rappresentano uno scenario, quello abitativo, che vive ormai da tempo una complessa crisi d’abbandono.
Articolo di Federica Magro
Foto di Federica Magro e Ivana Finocchiaro