In questi ultimi mesi l’Umbria è salita agli onori della cronaca per l’ordinanza anti-prostituzione, o meglio anti-prostitute, del Comune di Terni. Per non compromettere il decoro pubblico, diversi sindaci italiani hanno introdotto un’ordinanza che vieta vestiti succinti per strada. Essendo quello della prostituta il mestiere più antico del mondo, questi divieti non sono certo affare esclusivo del nuovo millennio.
Sandro Allegrini, nel suo libro Perugia a luci rosse (Morlacchi Editore), racconta che intorno al ‘300 le dimore delle prostitute dovevano mantenere una distanza di almeno dieci case dai luoghi sacri. La pena corrispondeva a una multa salata, anche per coloro che affittavano alle signore. I bordelli si trovavano nel centro storico della città, e se oggi la strada simbolo della prostituzione a Perugia è via Settevalli, nel Medioevo era il vicolo della Malacucina. La Malacucina, come scrive Sandro Allegrini, possiamo identificarla più o meno con via Mazzini.
Con il susseguirsi dei secoli le zone dedite al meretricio andranno via via cambiando, dalla Malacucina ci si sposterà verso l’attuale via Bontempi, per poi addentrarsi e nascondersi fra le vie che fino al ‘900 rimarranno per eccellenza il quartiere a luci rosse della città: via Cartolari e via della Viola. Dopo la legge contro le case chiuse, le prostitute finiranno in strada, precisamente in quella che oggi è via XIV settembre.
In strada, dunque, si arrivò nel 1958 con la legge Merlin che abolì la regolamentazione della prostituzione, introcucendo il reato di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione e chiudendo le case di tolleranza. Prima di questa legge, le prostitute non avevano certo una vita facile, erano schedate e segnate a vita dallo stigma che porta il loro lavoro. Da allora, fino ai giorni nostri, si è creato un vuoto legislativo. Il sex work non è riconosciuto come lavoro, di conseguenza non esistono diritti né tutele. La norma, fondata sul pilastro del buon costume, prescriveva anche la costituzione di un corpo di polizia femminile, per proteggere la donna e i minori. La mancanza di inclusività è evidente, non si tiene conto di cis e trans. Erano gli anni ‘50, certo, ma la legge è ancora in vigore, non è stata modificata né tantomeno messa seriamente in discussione.
A Perugia l’Unità di strada Cabiria-Arcisolidarietà Ora d’Aria, si occupa del fenomeno della prostituzione in strada e indoor. Capofila del progetto era inizialmente la Regione Umbria, sostituita, dopo aver abbandonato l’intero programma, dalla cooperativa sociale Borgorete. I partner attuali sono FreeLife 4, finanziato dal dipartimento delle pari opportunità, la Fondazione Istituto Crispolti e l’associazione San Martino-Terni. Ci rivolgiamo a Barbara Pilati, coordinatrice dell’intero progetto. L’unità di strada si occupa di agevolare il primo contatto con i servizi del territorio, in particolare quelli socio-sanitari, essendo tutte lavoratrici straniere.
“A noi interessa l’autonomia delle persone e la loro capacità di orientarsi nel posto”, spiega Barbara, infatti negli ultimi anni è stato fornito supporto rispetto alla regolarizzazione e alla richiesta d’asilo, arricchito da percorsi formativi. Gli operatori di Cabiria lavorano a contatto con donne, cisgender e donne trans e distribuiscono preservativi e altri dispositivi sanitari. Negli ultimi anni hanno fatto informazione per la prevenzione delle malattie, e laddove si verifichino situazioni di particolare disagio intervengono con percorsi di approfondimento.
Con l’arrivo della pandemia da Covid-19, il mondo lavorativo è cambiato, anche per le prostitute. Non potendo scendere in strada e con il tassativo divieto di uscire di casa, hanno dovuto riorganizzarsi. Al ritorno in strada si sta assistendo solo adesso. Analizzare la situazione, e la forma in cui avviene attualmente, è complicato. I numeri si sono abbassati, e se prima era semplice individuare le diverse nazionalità delle sex worker, con il nuovo turnover è diventato difficile.
Il lavoro di Cabiria si intreccia con quello di Unità di strada Perugia di Borgorete, che offre test Hiv gratuiti rivolti a tutti. Il referente è Andrea Albino, responsabile dei Servizi riduzione dei rischi e del danno della cooperativa. Andrea, come Barbara, sottolinea la differenza tra pre e post Covid. All’ultimo test gratuito, nessuna sex worker si è presentata, mentre in quelli precedenti capitava più spesso. Questo non vuol dire che ci debba essere allarmismo. Le prostitute e i clienti mediamente hanno consapevolezza della malattia e cercano di adottare le precauzioni del caso.
Di questi tempi il dibattito sulla prostituzione è polarizzato dai movimenti femministi. Possiamo distinguere diverse correnti di pensiero: il sex work è uno strumento del patriarcato e va abolito, il lavoro sessuale è emancipazione, il sex work è lavoro e basta. Come è vero che la spada di Damocle ricade sulla testa della prostituta e non sul cliente, è pur vero che la donna è libera di decidere del proprio corpo. Bisogna andare oltre le analisi semplicistiche e moraleggianti, che si concentrano sulle ordinanze e non su argomentazioni più esaustive. Affrontiamo l’argomento con Barbara con la premessa che non è necessario minimizzare o banalizzare la questione. Bisogna capire i vissuti delle persone, capire se prostituirsi è una scelta o una costrizione. Comprendere il perché si è per strada e non giudicare. Il discorso in termini diversi è controproducente. Se due adulti consensienti decidono di consumare rapporti sessuali dietro compensi, non è necessariamente un problema. Ovviamente ci sono situazioni a più livelli, con diversi gradi di intensità dove si ravvisa lo sfruttamento, e ci sono vittime di tratta. Mettere tutto sul piano del degrado urbano è marginale, rispetto alla complessità della realtà.
C’è una storia, fra le tante, da non dimenticare. Adelina Sejdini, albanese, era una prostituta e anche se ha smesso di esserlo, come ricorda Barbara, non ha mai superato quel momento della vita, che per molte è una fase. Vittima di tratta, nei primi anni ’90 riuscì a far arrestare tutti i suoi aguzzini. Dopo la strumentalizzazione di molti, dopo una lunga malattia e senza che le venisse riconosciuta la cittadinanza italiana, il 6 novembre del 2021 si è tolta la vita. Era stata completamente abbandonata, nonostante tutti gli arresti avvenuti per suo merito. É evidente che l’Italia non solo continua a ignorare i problemi delle prostitute, ma anche degli stranieri irregolari.
Dovremmo iniziare realmente a pensare alla prostituzione come un lavoro, inserirlo in una società non più giudicante ma pensante. Allontanare moralismi e polemiche paternaliste procedendo verso l’appropriazione di diritti e doveri. Il che evidentemente deve passare per una presa di coscienza a livello collettivo, sia nei confronti del lavoro come mercato sia da un punto di vista civile. Le prostitute sono persone, lo era Maria Maddalena, lo era Vittoria sotto casa di mio nonno e lo era Marinella dell’omonima canzone di Fabrizio de Andrè. La prostituzione esiste ed è la professione più antica del mondo, l’abbiamo già detto. É arrivato probabilmente il momento di riconoscerla e di renderla una professione come le altre.
Articolo di Federica Magro
Illustrazione di David Montyel