Nel paese delle meraviglie non c’è solo Alice. Le attività educative di Get on the road
Alice, la protagonista di Alice nel Paese delle meraviglie, romanzo scritto nel 1865 da Lewis Carroll, è una bambina vispa e curiosa. Non sa chi è e non sa dove si trova, il suo corpo muta sembianza, sviluppa un’identità, sogna, piange e si diverte. Esattamente come fanno Angela, Kimberly, Lyn e Sonia. Questi sono nomi inventati, per salvaguardare la privacy, ma i loro corpi sono reali, loro esistono.
Il pomeriggio, tre volte a settimana, si riuniscono al Community Hub di Madonna Alta a Perugia, dove hanno appuntamento con gli educatori dell’attività Get on the road dei Servizi Educativi Territoriali di Comunità. Tutte, proprio come Alice, sono estremamente vispe e si avviano a scoprire il mondo. Sono mine vaganti che si muovono, nella stanza bianca in cui si trovano, alla velocità della luce. Giocano sulle sedie girevoli e parlano di caramelle, adorano le caramelle e vogliono che venga messo nero su bianco.
Insieme a loro ci sono gli educatori Benedetta Aquino, Eraldo Cadeddu e Daniele Bianchi, tutti aspettano Chiara Burini, educatrice e referente di azione di Get on the Road. Quando vedono una persona estranea, si straniscono, credono che sia venuta a sostituire Chiara e non prendono bene la cosa. Chiara però non le delude e arriva un secondo dopo. Allora, proprio in quel momento, inizia davvero il pomeriggio nel Get.
Facciamo però un passo indietro e ricominciamo dal principio. Da quando, quasi un anno e mezzo fa, hanno preso forma i Get on the road nell’ambito di Agenda Urbana. Era estate nei quartieri, nei soliti tre quartieri, Ponte della Pietra, Fontivegge e Madonna Alta. L’attività è partita come ludica, era necessario conoscere i ragazzi e ascoltarli. Quando poi la scuola è cominciata e avevano bisogno di un aiuto con i compiti, i Get hanno aggiunto questo tassello, ristrutturando il percorso per un’esigenza dei ragazzi e rendendolo soprattutto un momento di scambio, senza mai rinunciare alle altre attività, creative o sportive.
Ken Robinson, educatore britannico, sosteneva: “La scuola è organizzata come una linea di fabbrica: ci sono campane che suonano, spazi divisi per sesso, luoghi specializzati in materie e gli studenti sono divisi per gruppi basati sull’età. Perché lo facciamo? Perché crediamo che la cosa più importante che i ragazzi hanno in comune sia l’età. Ma ci sono ragazzi più bravi in certe materie, o in certi momenti della giornata, alcuni vanno meglio se lavorano in gruppi piccoli o grandi, altri se lavorano da soli… Se siamo davvero interessati a un modello educativo non possiamo allora partire dall’idea di una linea di produzione, che prevede una crescita omologante e conformista”. Robinson era del parere che bisognava lasciare spazio alla creatività in quanto è il processo che genera idee originali, idee che hanno valore. Il valore di dare molteplici risposte alla stessa domanda e andare contro l’istruzione attuale che divide fra intelligenti e non intelligenti.
I Get sono stati strutturati in modo che il momento dei compiti sia percepito come un momento di relazione e di confronto, infatti i ragazzi vengono da classi e scuole diverse e hanno età differenti, fra 10 e 14 anni. L’obiettivo non è lavorare sul compito che il ragazzo ha per il giorno successivo, ma far sì che attraverso quella modalità lui impari un metodo e a essere autonomo e non schiavo del supporto.
Chiara Burini, capelli ricci e occhi grandi e luminosi, ha un modo di esprimersi pacato e dolce, piace molto ai ragazzi. Sanno che nonostante il rapporto asimmetrico che si interpone fra piccoli e grandi, lei giocherà e costruirà, attraverso gli strumenti di vicinanza, una relazione con loro. Come ci spiega Burini, i Get non sono dei doposcuola: “Noi sfruttiamo lo strumento dell’apprendimento perché sappiamo che è un dovere per i ragazzi, ma durante il periodo estivo non hanno studiato con noi, hanno giocato, e solo verso la fine abbiamo detto: cominciamo una volta a settimana a portare i compiti per vedere a che punto siete. Il doposcuola è un luogo importante che macina compiti – continua Chiara – per noi invece sono uno strumento per lavorare sull’apprendimento e sul dovere. Spesso le famiglie fanno confusione su queste cose, ma è necessario ricordare che il nostro è lo spazio fortemente educativo che manca in altri contesti. Cerchiamo di avere attenzione per le diverse componenti della persona, di supportarli e aiutarli a portare avanti il proprio dovere”.
A Kimberly, Lyn, Sonia e Angela si aggiunge anche Corrado, l’unico ragazzino presente. Finiti i compiti, gli educatori predispongono un unico foglio bianco sul quale i ragazzi dovranno disegnare e ogni dieci minuti scambiare posto, portando a compimento il disegno dell’altra persona. Sono entusiasti, giocano con i colori, si sporcano le mani e passano del tempo spensierato tutti insieme.
Anche il Get di Fontivegge, tenutosi in via Birago, ha visto una consistente e costante partecipazione. Oltre ai laboratori di supporto all’apprendimento scolastico, con l’aiuto dei partner come Post e Psiquadro, i ragazzi hanno approfondito la robotica, il pensiero computazionale e scoperto il mondo delle stampe 3D. Hanno creato decorazioni per il carnevale e con la bella stagione hanno vissuto a pieno il parco Sant’Anna, dove hanno imparato a conoscere meglio il territorio in cui vivono, creando un rapporto con la comunità e con i gruppi informali presenti sul territorio.
Se Madonna Alta-Cortonese e la zona di Fontivegge, che comprende Pallotta, Filosofi, Fonti Coperte e Campo di Marte, hanno ottenuto buoni risultati sia a livello quantitativo che qualitativo con i Get, discorso a parte deve essere fatto per Ponte della Pietra. Parliamo di un quartiere completamente diverso dai precedenti, e come ci spiega Gabriele Biccini, coordinatore dei Servizi Educativi Territoriali di Comunità, fragile e distante da Agenda Urbana. Si tratta di un luogo percepito come dormitorio e vissuto in maniera ostica dai residenti. “In questa zona, c’è stata, ma si dovrebbe rafforzare, l’integrazione nei diversi interventi. Quello che fa Abdel Aziz Lahrech come portiere di quartiere o Stefano Santaniello per la progettazione, si deve integrare, più di quanto è stato fatto, con il nostro lavoro a supporto dei minori. C’è bisogno di una forte unione – afferma Biccini – perché solo in maniera unita e integrata riesci a incidere e a essere più strutturato”. Nonostante ciò ci sono stati dei risultati positivi, il cinema, come vedremo, è stato partecipato e su nove cene fatte, solo una ha stentato.
Paolo II, attraverso il quale, grazie al suo bacino d’utenza, è stata possibile la fase della mappatura, dell’osservazione e della realizzazione delle attività.
Come ci racconta l’educatrice Pamela Sciamanna, nel quartiere sono stati realizzati i laboratori di giocoleria, giardinaggio e dama, a cura degli educatori di Auriga e quelli di Anspi. Qua la tipologia d’utenza è diversa, poco partecipativa e difficile da agganciare, l’atmosfera che si percepisce non è come quella degli altri quartieri, c’è più silenzio e il rumore predominante è quello delle auto che sfrecciano, non dei ragazzini che giocano. La conformazione dell’anima di Pamela è ormai fatta dalle strade di Ponte della Pietra, ma soprattutto dai ragazzini che hanno fatto parte delle sue giornate, e quando pensa che il progetto è ormai agli sgoccioli i suoi occhi si riempiono di lacrime. É impossibile non affezionarsi ai più piccoli, alle loro storie, alle loro insicurezze e difficoltà.
L’oratorio, a fine settembre, è quasi deserto, c’è solo una stanza animata, dove insieme agli educatori, c’è Alina, arrivata da pochi mesi in Italia dall’Ucraina, bionda e occhi azzurri, proprio come la Disney ci ha fatto sempre immaginare Alice nel paese delle meraviglie, e poi c’è Tommaso che sta facendo i compiti di terza media. Tommaso fin dall’inizio ha percepito questo luogo come familiare, e per tutto questo anno e mezzo, non è mai stato assente. Nei prossimi mesi invece a mancare non sarà Tommaso, ma tutti coloro che finora hanno costruito, insieme alla comunità, nuovi mondi e relazioni in questi quartieri.
Perugia Magical Tour
“Ogni estate la solita storia. La popolazione per undici mesi all’anno amava la città che guai a toccargliela. I grattacieli, i distributori di sigarette, i centri commerciali. Tutti motivi indiscutibili di buona attrattiva. A un certo punto dell’anno però, cominciavano i mesi estivi ed ecco che si assisteva a un cambiamento di sentimenti generale. Alla città non voleva più bene nessuno. E così a furia di riempire treni e ingorgare autostrade, al quindici del mese se n’erano andati proprio tutti. Tutti, tranne una, Marcovalda”.
Marcovalda è la protagonista di uno dei tre cortometraggi realizzati dal PostModernissimo insieme ai ragazzi del Get di Ponte della Pietra, per presentare le serate gratuite del Perugia Magical Tour e invitare i cittadini a partecipare. Nove serate cinematografiche, accompagnate da cene laboratoriali e altre attività, nell’ambito dei Cicli per bambini e Famiglie, sempre a cura dei Servizi Educativi Territoriali di Comunità.
Ribattezzata ‘la sognatrice’, un po’ stramba agli occhi dei cittadini, Marcovalda era una grande appassionata di cinema, così appassionata che i suoi film preferiti come per magia cominciarono ad apparire tra il grigiore del quartiere. Quei muri pieni di buchi diventarono un confine buffo popolato di gente in costume che prese possesso dei garage vuoti. Uomini in bianco e nero cominciarono a giocare a nascondino tra i secchi della raccolta differenziata. Marcovalda pensò che in fondo il suo quartiere non era per niente male.
Ribattezzata ‘la sognatrice’, un po’ stramba agli occhi dei cittadini, Marcovalda era una grande appassionata di cinema, così appassionata che i suoi film preferiti come per magia cominciarono ad apparire tra il grigiore del quartiere. Quei muri pieni di buchi diventarono un confine buffo popolato di gente in costume che prese possesso dei garage vuoti. Uomini in bianco e nero cominciarono a giocare a nascondino tra i secchi della raccolta differenziata. Marcovalda pensò che in fondo il suo quartiere non era per niente male.
In realtà a Perugia il cinema all’aperto c’è, e anche da diversi anni; ma in questo caso ciò che si tenta di innescare è qualcosa di più profondo di una semplice proiezione di film. “Perugia Magical Tour potremmo quasi definirlo un’avanguardia, se lo si osserva in un’ottica di valorizzazione di luoghi dove il cinema non c’è mai stato – continua Biccini – Arriva ad assumere una funzione di collante in grado di permettere alle persone di conoscersi per la prima volta pur vivendo nello stesso quartiere; vedere un film insieme e socializzare. Vivere il quartiere non solo come luogo in cui dover tornare dopo una giornata di lavoro. Vedere così tante persone al parco della Piroga a Ponte della Pietra, forse quello che più di tutti ha bisogno di interventi di questo tipo, è stato molto significativo”.
La realizzazione delle serate cinematografiche ha visto la partecipazione non solo dei soggetti coinvolti nel Lotto 1 di Agenda Urbana, ma anche e soprattutto delle organizzazioni e realtà di quartiere, per favorire ancor più la partecipazione diretta dei cittadini. Tra i vari partner, il PostModernissimo ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale, già coinvolto in diverse attività come i laboratori di competenza svolti nelle scuole superiori, in particolare con il liceo delle scienze umane Pieralli di Perugia. E proprio insieme a questi ragazzi, accanto a quelli delle medie del Get, è stato fatto un triplice lavoro. “Innanzitutto, c’è stata la scelta comune dei film da proiettare. Successivamente i ragazzi del Pieralli hanno intrapreso un percorso di comunicazione sulla tecnica cinematografica e sull’organizzazione di eventi di questa natura, curando la parte grafica delle proiezioni, i volantini e i post per i social. I ragazzi del Get si sono cimentati, invece, nella realizzazione di tre cortometraggi come lancio dell’iniziativa e proiettati poi in una delle tre serate previste nei quartieri”, conclude Biccini.
Hanno assistito alle nove proiezioni quasi 1.500 persone. Fare comunità nelle periferie non è affatto semplice, ma il cinema sotto le stelle c’è riuscito.
Stand by me
Al Get si è unito il cinema, il cinema al Get. A queste azioni si è aggiunta quella di Educativa di strada e di conseguenza si è formata, e rafforzata, una comunità. Fili di una stessa matassa, dove i fili sono le persone e la matassa è il quartiere, hanno creato, tutti insieme, un morbido tessuto sociale dove poter crescere e vivere. Tutte le azioni dei Servizi Educativi Territoriali di Comunità hanno raggiunto obiettivi diversi proprio in base alla zona in cui sono state messe in atto. Non fa eccezione l’Educativa di strada, che ha cercato di raggiungere gruppi informali di giovani, dai 14 ai 17 anni, nei luoghi della loro quotidianità.
Andrea Mattiucci, referente di Educativa di strada, racconta di come il bilancio sia stato assolutamente positivo e condizionato, appunto, dai luoghi dell’azione: “Il territorio di Madonna Alta, già molto aggregativo di per sé, ha portato un ampio bacino di beneficiari, permettendo agli educatori di strutturare delle attività o semplicemente di fare una chiacchierata con i ragazzi e passare con loro del tempo.
A Fontivegge, un’area molto dispersiva, c’è stata qualche difficoltà in più. In un primo momento abbiamo frequentato la parte che riguarda lo skate park, con un buon riscontro, poi i ragazzi hanno smesso di andarci e noi ci siamo spostati al parco Sant’Anna, dove abbiamo organizzato tornei di calcio, pallacanestro e fatto un piccolo laboratorio di boxe”.
Come più volte ripetuto Ponte della Pietra rappresenta un capitolo a parte. Questa è una zona che sembra apparentemente senza spazio e senza tempo, dove chi ci abita, in particolare i ragazzi, cerca di andare alla ricerca di nuove avventure. Spostarsi altrove, con il motorino o con il pullman, e andare lontano o a volte molto vicino, come nel parcheggio di un supermercato, o magari verso il centro storico di Perugia.
Per questa ragione è stato difficile rivolgersi agli adolescenti e si è deciso di intercettare i più piccoli. Questo non è avvenuto senza problemi, perché qua gli educatori hanno incontrato diversi gruppi in conflitto fra loro ed è stato fatto un lavoro importante di mediazione, un lavoro poco visibile e per questo meno riconosciuto. “Un lavoro nell’ombra – spiega Andrea- dove non puoi arrivare e pretendere chissà quale adesione spontanea e tranquilla. Però continuando a lavorare tutto questo tempo sono stati creati rapporti, si è chiacchierato molto in maniera informale riuscendo ad attivare un pensiero critico nei più giovani, e dopo è stato possibile organizzare anche dei tornei”.
I tornei, soprattutto quelli di calcio, hanno rappresentato lo strumento aggregativo per eccellenza, in particolare a Madonna Alta. Le educatrici Benedetta Aquino e Roberta Carioti raccontano di come all’inizio l’idea era quella di proporre attività di altro genere, ma è stato subito evidente che nulla poteva funzionare meglio di una sana partita di pallone. Hanno quindi portato un fischietto, un pallone e delle casacche e hanno proposto ai ragazzi, che già frequentavano il posto, di formare delle squadre per il tornei. “Ora li vediamo qui, perché sanno bene che il martedì ci si incontra – racconta Aquino – ma prima non giocavano nemmeno insieme, ognuno aveva la sua palla, faceva qualche tiro e poi andava via. Non c’era una partita, era una toccata e fuga, chi arrivava da solo andava via da solo”.
Hanno iniziato con i tornei dei più grandi e sono arrivati a contare più di 35 ragazzi, a volte c’erano dei piccoli premi, altre volte no, ma questo era irrilevante, non interessava a nessuno, l’importante era giocare e ovviamente, per qualcuno, anche vincere.
I bambini più piccoli, dopo aver visto i ragazzi grandi, hanno voluto il loro torneo e hanno giocato per tutto il mese di luglio e di settembre. Nell’ultimo martedì dell’ultimo mese di Agenda Urbana, i campetti di via Diaz, sia quello da calcio che quello da basket, sono pieni di ragazze, ragazzi, adulti e bambini. C’è chi gioca a calcio, chi a basket, chi gira in bici, chi in monopattino e chi sta qua solo per passare il pomeriggio in compagnia. Il luogo è vivo.
Le ragazze sono in quell’età in cui si vestono solo di nero, i ragazzi non staccano gli occhi dal pallone e intanto Benedetta e Roberta, insieme all’educatore Alessandro Moretti, preparano le squadre per l’ultimo torneo. Nessuno di loro porta la stessa maglietta o le stesse scarpette, nessun cellulare, nessuna pretesa, solo bambini pronti a far della partita di calcio la più bella poesia mai scritta. A giocare con gli altri c’è anche Assil, otto anni, occhi grandi e capelli castani raccolti in una lunga treccia. È la più emozionata e sfreccia per il campo, non le importa di essere fisicamente molto più piccola degli altri, lei vuole solo inseguire il pallone.
I più grandi sono anche i più ribelli e non si accontentano del loro turno, cedono solo alla fine, perché gli educatori sono inflessibili. Però non lasciano mai il campo e rimangono vicini, anzi vicinissimi a Roberta che tiene i punti e ad Alessandro che arbitra. Questo è l’ultimo torneo con gli educatori, dalla settimana successiva non ci saranno più, ma Benedetta, nonostante la tristezza che comporta la fine di un progetto, è contenta perché sa che quando passerà da qua vedrà ugualmente i suoi ragazzi stare insieme e giocare a calcio.
Articolo di Federica Magro e Eleonora Proietti Costa