Nobel per la pace agli invidiosi
Ombrelli per tutti quando piove. L'esperienza della Meridiana a Castel del PianoArrivo all’appuntamento con qualche minuto di anticipo. Vengo avvistato dalla sentinella che mi si fa incontro. Bussa e preme ripetutamente sul finestrino armata di scopa e ombrello, fa versi e facce, mi fa cenno di scendere. Appena fuori dalla macchina vengo abbracciato e subissato di domande. Sorrido, saluto e mi avvio all’ingresso. Dall’altra parte dell’uscio, dentro l’appartamento, mi accolgono un ragazzo dalla faccia simpatica e nera come la pece che si confonde nella penombra del corridoio e una signorina che sta uscendo per incontrare la sua amica del palazzo di fronte. La ragazza si scusa, fa come per ripensarci ma poi, come è bello che sia a quindici anni, se una amica aspetta bisogna correre. Sbuca dalla sala una faccia furbetta, è nuova della casa, l’avevo vista una sola altra volta, occhi grandissimi e ricci imponenti, ironica e sveglia parla come una cabarettista navigata, le pause giuste, i toni della voce, chiede se per l’intervista debba truccarsi o cambiarsi d’abito, sorrido e mi avvio verso il lungo tavolo di legno della sala.
Da qui posso vedere la grande cucina a vista, la sala con i coloratissimi divani che abbiamo ridisegnato e progettato insieme ai ragazzi, il murales che racconta la loro casa, i loro spazi, i loro tempi e i loro amici. Sono passati pochi secondi ed ecco che mi accolgono le educatrici di turno. Mi offrono il caffè e pianifichiamo la strategia. Attiriamo tutti con la scusa di una merenda con nutella e poi iniziamo. Il primo a notare il microfono è un ragazzo alto e sorridente, oggi era malato e non è andato a scuola, si aggira in pigiama. Cos’è? Perché ha questa forma? A cosa serve? Cosa facciamo? Quando iniziamo? Ma io non l’ho mai fatta un’intervista. In realtà oggi è per lui un giorno particolare perché il suo compagno di stanza è diventato grande e è andato a vivere da solo, lui è dovuto rimanere a casa per abbracciarlo e augurargli “in bocca al lupo”.
È sempre bella l’accoglienza dei ragazzi di Castel del Piano. Ci si conosce da tempo ma è da settembre che con SMEC e «Luoghi Comuni» si è creata una relazione speciale. Loro avevano bisogno di rifare il look alla casa e si sono rivolti a noi. Noi abbiamo rigirato la domanda a loro e abbiamo lavorato insieme sugli spazi disegnando muri e ridisegnando i divani. Col quartiere si sta progettando un campo di calcio perché i confini tra dentro e fuori, come ci racconteranno i ragazzi, sono sempre labili. Oggi parleremo di noi, così come siamo capaci, in modo disordinato, dando libero sfogo ai pensieri, alle associazioni e alle emozioni. Da queste parti non ci si annoia mai, l’esuberanza è tanta e oltre ai ragazzi della casa ci sono quelli dei palazzoni, sono tanti e abituati a bussare alle porte e alle finestre a tutte le ore del pomeriggio. Cercano gli amici per giocare e gli adulti per parlare ma oggi piove e bussano in cerca di ombrelli per non bagnarsi. Mancano all’appello solo due ragazzi che sono nelle loro camere ma al richiamo della nutella arrivano portando tutta la loro energia travolgente e i loro look che parlano delle loro passioni. Per catturare l’attenzione di tutti ci mettiamo una ventina di minuti e un’altra decina per rodare, ma poi è un fiume in piena.
Con il fare dell’artista underground un ragazzo occupa la scena e ci racconta di come lui accudisca i suoi sette fratellini preparandogli da mangiare, proteggendoli e facendoli studiare. Tutti ridono e continuiamo, parlando della scuola e di come i loro compagni apprezzino le loro bravate. «Loro non sono capaci di sabotare le lezioni e così mandano avanti noi», così tutti ridono e possono nascondersi nel casino. Si apre una discussione, c’è chi intuisce di venir usato ma un posto da protagonista non ha valore. Ci tengono però a precisare che ci sono insegnanti con cui non è permesso e che ci sono materie come storia che sono interessanti e utili, ma stare tutto quel tempo fermi e zitti non è proprio possibile. Ci confrontiamo sul piacere che provano nel far disperare educatori e insegnanti e la loro lucidità e consapevolezza risulta disarmante: «Ci piace quando urlano, è bello essere ascoltati, è bello che ci sia chi si occupa di noi». Castel del Piano è un quartiere difficile e si sentono fortunati ad avere qualcuno che si prenda cura di loro. Altri nel cortile e ai giardinetti non sono altrettanto fortunati. Sono lasciati a se stessi. Si sentono in dovere di aiutarli come gli adulti fanno con loro, dandogli consigli, accogliendoli a casa. Ma si rendono conto che non è sufficiente. «Alla nostra età se non provi non capisci e non possiamo occuparci di tutti noi».
C’è anche chi ci insulta e ci tratta male perché non capisce che abbiamo bisogno di un periodo di tranquillità per poi tornare dai nostri genitori. C’è anche chi è invidioso. «Chi non è qui non può capire». Se poi si litiga gli adulti difendono sempre i propri figli e finisce sempre che è colpa nostra. Impari chi sono gli amici, chi sono gli stupidi e chi sono quelli pericolosi da cui stare lontano. Poi tutto d’un tratto si preoccupano per me. «Non abbiamo parlato di te del tuo lavoro e del progetto SMEC…». Sono splendidi! Lascio la comunità educativa La Meridiana dopo due ore di intervista, e con la conferma che è uno spazio prezioso per i ragazzi, gli adulti e il territorio.
Testo di Max Calesini