L'invasione della risata
Amelia, David, Elisa, Giovanni, Massimo. A Perugia ci conoscono come quelli che ridono. Perché ridiamo? Per nessun motivo. Ci guardiamo in faccia e ridiamo. Battiamo le mani e ridiamo. Diciamo cose senza senso e ridiamo. Ci sdraiamo a terra e ridiamo. Per un’ora, ma potremmo andare avanti all’infinito. Lo facciamo grazie a una pratica – lo Yoga della Risata – capace di sciogliere ogni resistenza. Dopo aver sperimentato sulla mia pelle gli incredibili effetti della “risata volontaria”, ho deciso di formarmi come insegnante e ho tutte le intenzioni di mettere in atto una piccola rivoluzione: cambiare il mondo – o anche “solo” la vita di una singola persona – attraverso la risata, un’opera di scompiglio felice capace di smuovere pacificamente le acque più stagnanti. Perché come dice l’ideatore dello Yoga della Risata, il medico indiano Madan Kataria, «Quando tu ridi, cambi e quando tu cambi, il mondo cambia con te».
Un progetto ambizioso? Lo sono tutti, prima che si compiano. D’altronde ha cambiato la mia, perché dovrebbe non funzionare anche con altri? Se una risata ci seppellirà, un’onda di risate ci terrà a galla. Abbiamo un disperato bisogno di ridere. Ridere produce benessere, in tutti i sensi: migliora la salute, favorisce lo sviluppo personale, arricchisce le relazioni. La novità è che non abbiamo bisogno di un motivo per farlo.
La particolarità dello Yoga della Risata è proprio quella di permettere a chiunque di ridere senza una ragione, senza cioè essere esposti a umorismo o comicità, senza barzellette, film o altro. Si ride come esercizio fisico grazie all’azione combinata di tecniche di respirazione (mutuate dallo yoga pranayama) e tecniche di stimolazione della risata (mutuate da varie discipline). La risata, dapprima indotta, si trasforma in risata spontanea grazie anche alle dinamiche di gruppo e alla giocosità. Il meccanismo, molto semplice, si basa sul fatto – scientificamente provato – che il corpo non distingue tra una risata “finta” e una naturale; lui – il corpo – non lo sa che stai facendo finta e mentre fai finta, il cervello che – come dice Jacopo Fo – è stupido, pensa «rido quindi sono felice» e si predispone al buon umore, mette in circolo “ormoni della felicità” che a loro volta favoriscono la risata che a sua volta mette di buon umore, in un circolo virtuoso che si autoalimenta alimentando il benessere.
Ridere accorcia le distanze fra le persone, è facile, immediato, contagioso. Ogni volta che mi chiedono di cosa mi occupo e rispondo “di risata”, l’espressione sul volto degli altri cambia, si distendono e mi sorridono. E ogni volta che propongo una sessione incontro favore ed entusiasmo, come se le persone non stessero aspettando altro. Per questo ho deciso di portare la risata in ogni luogo, anche dove non trova comunemente spazio. Non solo con lo Yoga della Risata ma con tutti i mezzi in grado di scompigliare felicemente e pacificamente le carte. Partecipando col mio gruppo di entusiasti ridanciani a numerose manifestazioni, dalla Festa dei Popoli a Futurando, in pochi mesi ho messo insieme centinaia di persone di età, etnia, credo, occupazione differente, persone che si conoscevano da tempo e persone che si incontravano per la prima volta: tutte unite dal linguaggio universale e pacificante della risata. Un modo nuovo, trasversale e spensierato per favorire la socialità.
Sono entrata in contatto con moltissime persone, realtà, associazioni, rappresentanti delle istituzioni. E con alcuni stiamo pensando a dei progetti dedicati. Mi piacerebbe portare scompiglio felice negli ospedali, nelle carceri, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, persino nelle stanze del Palazzo se ci apriranno le porte!
Ogni mercoledì tengo un laboratorio di risate aperto a tutti (presso La Piccola Biblioteca delle Viole in via Cartolari 1, centro storico) e a partire da ottobre avvierò un percorso di formazione per coloro che siano interessati a occuparsi di risata o semplicemente vogliano imparare a portare più benessere nella propria vita.
Più siamo, più ridiamo. Più ridiamo, più siamo. In tutti i sensi.
Testo di Elisa De Meo