Una giornata come tante, la lamiera della macchina infuocata e i finestrini aperti, è quasi ora di pranzo in un sabato di agosto e il sole, ostinato, sembra quasi surriscaldare i pensieri. Sto ripercorrendo la strada che dal vecchio ospedale di Monteluce va verso il cimitero monumentale di Perugia, in via Enrico dal Pozzo per esattezza, e girando a destra cerco con lo sguardo un’indicazione per trovare il posto che sto cercando…rallento, mi guardo intorno e così mi rendo conto che forse non c’è bisogno di segnali per trovarlo.
C’è chi viene e chi va, solo qualcuno rimane seduto, una ragazza sdraiata sul muretto è assorta a guardare il cellulare e poco distante scorgo un contenitore di plastica con un cartello su cui è scritto “Coperte – Se hai bisogno prendi, se non ti serve lascia qui”; ecco, penso, questa è la mia destinazione, sono finalmente arrivata al Cabs: il servizio perugino di “bassa soglia”.
Chiamato nel resto di Europa anche “drop in” è ispirato ai principi della sanità pubblica e di riduzione del danno. Per termine “bassa soglia” si intende un modello di intervento sociale indirizzato a persone in estrema difficoltà, il cui l’obiettivo primario è quello di prevenire rischi sanitari legati all’abuso di sostanze: ma la soglia, talvolta, non è solo un fatto materiale poiché ancor prima rappresenta un aspetto simbolico e relazionale.
La sensazione che ho è quella di un luogo altro, in cui t’immagini da subito di incontrare storie complesse, difficili, a volte surreali… un posto forse solo di passaggio per molti, ma che, stranamente, mi fa sentire come se tutto rimanesse in attesa. Così, anch’io attendo qualche minuto e mi ritrovo a osservare questo spazio, prima di decidermi ad entrare.
Entro e trovo alcuni degli operatori indaffarati, tra l’organizzazione dei pasti per il pranzo e le parole con qualche utente. Un ragazzo con tono gentile saluta per nome e chiede il solito kit: “una siringa e un’acqua, grazie”, con una strana normalità che mi colpisce in modo spiazzante e fa un po’ a cazzotti con quel condizionamento morale che inconsciamente ci riguarda tutti. In quel preciso momento penso a quanto sia automatico cedere al pregiudizio e sono ancor più convinta di voler conoscere meglio tutto quello che fanno in questo servizio.
Ma partiamo dall’inizio. Il Centro di Accoglienza a Bassa Soglia nasce nell’aprile del 2000 per volontà del Comune di Perugia, attualmente è un servizio dell’Usl Umbria 1, che fa riferimento al Ser.T ed è gestito dalla cooperativa sociale BorgoRete. Il Cabs svolge diverse attività: in primo luogo ha un banco alimentare, in cui vengono distribuiti una serie di beni primari; ha attiva l’Unità di strada con sede principale a Fontivegge, dove si forniscono generi di conforto, come tè caldo o acqua alle persone che ne necessitano, ma anche siringhe sterili per prevenire la diffusione dell’Hiv. Inoltre, il servizio di Unità di strada diventa itinerante in occasione di rave o festival musicali, momenti in cui si riescono ad avvicinare giovani e giovanissimi e in cui si forniscono informazioni sui rischi correlati all’uso di sostanze attraverso un counseling informale. Infine, c’è il Centro di accoglienza, in cui le persone hanno la possibilità di fermarsi, scambiare due parole, avere informazioni, lasciare le proprie cose, lavarsi e ottenere materiale sterile per prevenire la trasmissione di malattie.
“Gli interventi sociali di riduzione del danno cercano di ‘stringere un’alleanza’ con le persone tossicodipendenti, promuovendone la consapevolezza attraverso un approccio che in primo luogo non giudica e avvicina in modo poco invasivo. Noi impariamo a non fare mai domande dirette, ma riusciamo a raccogliere informazioni sulla persona attraverso altri elementi”.
Così mi spiega Daniele, un operatore che mi dedica un po’ del suo tempo per farmi capire come funziona qui. Vive a Perugia dal 2003, si è laureato in Scienze della Formazione e dopo un periodo in una comunità nel settore minorile ha deciso di dedicarsi a un tipo diverso di utenza, così da qualche anno fa parte dell’équipe del Cabs, che conta all’attivo 8 operatori stabili. Daniele ama il suo lavoro e si capisce dall’entusiasmo con cui ne parla, nonostante le sfide quotidiane e i momenti di emergenza.
Mi fa vedere la struttura: la cucina comune, il magazzino con i generi alimentari del banco, i vestiti, le coperte, in una stanza ci sono armadietti per far riporre oggetti alle persone che non hanno una casa e una stanza lavanderia che permette di fare il bucato. Tranne i letti, c’è tutto quello che si potrebbe trovare in una casa e, penso, che è anche il minimo necessario per una vita possibilmente più dignitosa.
La prima cosa che mi sento di chiedergli è come la comunità percepisce il Cabs e se c’è stata difficoltà a trasmetterne l’importanza: “La riduzione del danno ormai è entrata a far parte della legge quadro sui livelli di assistenza, diventando, di fatto, uno dei pilastri delle politiche sulle droghe, insieme alla lotta al narcotraffico, alla prevenzione e alla comunità di recupero. Il difficile è combattere il pregiudizio comune.
Banalmente, quello che cerchiamo di far capire è che la riduzione del danno ha un impatto sul sistema sanitario, infatti, se si riflette sui costi effettivi che hanno per lo Stato le cure e le terapie necessarie a una persona tossicodipendente che non previene la malattia, ci si rende conto che fornire materiale sterile come le siringhe, o il Narcan per contrastare le overdosi, è un servizio che con un investimento minimo risulta essere fondamentale”.
Il Narcan viene distribuito ai consumatori abituali per evitare che in caso di emergenza l’ambulanza arrivi troppo tardi. Purtroppo, anche quest’anno in Umbria, abbiamo raggiunto il triste primato per morti per overdose in Italia e questo ci fa capire come delle realtà che sembrano ormai non appartenerci più sono ancora vive e presenti, forse solamente più nascoste.
Al Cabs invece la situazione è ben chiara e monitorata, loro accolgono chi non ha altro posto in cui andare, chi ancora non ha scelto di cambiare e anche chi, forse, non vorrà mai farlo. Si, perché Daniele mi parla anche di questo, del libero arbitrio e della possibilità che qualcuno scelga questa vita senza volontà di curarsi, ma non per questo si merita di essere abbandonato.
Ma il Cabs è anche tanto di più, come l’Unità di Strada. “Ad esempio, nei festival cambia totalmente ciò che facciamo. L’utenza è giovane, ha voglia di divertirsi ed è spesso disinformata. Noi cerchiamo di trasmettere informazioni fondamentali su rischi di sostanze psicoattive e uso consapevole, fornendo flyer informativi e materiale per la riduzione del danno e facendo gratuitamente il “drug checking”, un test rapido che dà n riscontro immediato sulla sostanza che si sta utilizzando, aumentando la consapevolezza della persona che la assume”.
Sicuramente, la lotta legata all’abuso di sostanze avviene attraverso vari canali, e questa si presenta come un’alternativa ai metodi coercitivi tradizionalmente diffusi. Quelli di riduzione del danno sono spesso interventi “di strada” in cui la risposta metodologica capovolge la logica dei servizi sociali, infatti in questo senso l’intervento è direttamente attivato nei luoghi in cui si può verificare il bisogno. La chiave talvolta è la prossimità e la vicinanza alle persone, perché tutti hanno il diritto di essere supportati e con il tempo, magari, indirizzati, grazie a nuove consapevolezze, a uscire dal buio verso una vita migliore.
Articolo di Ilaria Montanucci
Foto del Cabs