Il prete in calzoni corti
Don Luca Delunghi è un prete giovane, e perugino. A febbraio fa quarant’anni, in via Birago è arrivato che ne non ne aveva ancora trentacinque. Dal suo terrazzo al secondo piano della palazzina a ridosso della chiesa domina la piazza, e mezzo quartiere. Di lui, qua, parlano tutti, dicono che da queste parti non succede niente senza che il prete ne sia al corrente. Don Luca ride dietro la mascherina, arrossisce. “Non è vero”, dice. Calzoni corti, t-shirt, occhi azzurrissimi, a incontrarlo di venerdì pomeriggio sembrerebbe tutto meno che un parroco. Nato e cresciuto a San Sisto, a diciannove anni è andato a studiare a Roma e poi in Israele. “A venticinque sono tornato a Perugia da prete”. Dapprima è finito a San Martino in Campo, poi, da vice, a Ponte San Giovanni. “Quando i ragazzi di San Martino lo hanno saputo mi hanno detto che mi sarei dovuto portare una pistola”. Otto anni dopo, quando è stato trasferito qua, nella parrocchia di San Biagio e Savino, sono stati i ragazzi di Ponte San Giovanni a dirgli di portarsi un coltello. Certe etichette sono difficili da scrollarsi di dosso. Ma è davvero un posto così difficile, questo? Don Luca dice di no. Qualche problema di microcriminalità esiste, come in tutte le zone vicine alle stazioni. Ma il punto è un altro. “Il quartiere si può dividere facilmente in due parti. Quella a monte di via della Pescara, medio e alto-borghese, e quella a valle, più popolare. La cosa davvero complicata è far sì che questi due mondi si parlino”. Vecchi residenti per lo più in là con l’età, stranieri, le scuole, qualche nuova famiglia. “Ognuno tende a rimanere al proprio posto. È normale, credo. Le diverse realtà convivono, ma di condivisione ce n’è poca. Noi abbiamo provato a favorirla in molti modi, organizzando parecchie iniziative, e continueremo a farlo”. Cifra indubbia della zona, secondo Don Luca, è “l’attitudine caritatevole”. “Merito di Don Orlando, uno dei miei predecessori, che fu a lungo missionario, e che ha coltivato con convinzione quest’aspetto”.
I cittadini più abbienti, quando c’è da dare una mano a chi ha bisogno, non si tirano indietro. E tuttora la chiesa di San Biagio è sede di un punto d’ascolto della Caritas, il lunedì e il mercoledì mattina dalle nove a mezzogiorno. “La gente viene a chiedere cibo, aiuto per sbrigare le faccende burocratiche, di tutto”. Dopo lo scoppio della pandemia il flusso è aumentato? “Sì. E rispetto a prima ci sono più italiani”. Da quando Don Luca è arrivato, ad ogni modo, qualcos’altro sta cambiando. Aprono ristoranti, librerie, nascono associazioni. “C’è più vitalità. Il quartiere potrebbe cambiare faccia senza snaturarsi”. E lui, per quanto tempo si vede ancora in via Birago? “A gennaio cominciamo i lavori in chiesa. Pavimento e tetto. Finché non non finirò di pagare i buffi non mi manderanno via. Seriamente: il mandato di un parroco dura nove anni, ed è rinnovabile. Io sono a metà del primo. C’è ancora molto da fare, ma vedremo cosa deciderà il vescovo quando scadrà”.