La storia e le storie via dei Filosofi, nel libro di Mauro Pianesi
“Il quartiere di via dei Filosofi a Perugia è quello nel quale vorrei vivere. Passiamo tutto il giorno a fotografare giardini rigogliosi, tetti in coppi, scalinate piene di vita, stradine prive di traffico, muri in mattoni bersagliati da palloni da calcio”.
Scriveva così, di questa via e delle laterali, Gianluca Marino, riferendosi al complesso residenziale di via Machiavelli in via dei Filosofi, in occasione dei 50 anni di attività (1949-1999) dell’INA-Casa, piano di intervento dello Stato italiano per realizzare edilizia residenziale pubblica su tutto il territorio. Nonostante le molteplici mutazioni subite nel corso dei decenni, forse, da queste parti si respira ancora una certa atmosfera da isola felice, come scrive il perugino doc Mauro Pianesi, classe ’61, nel suo libro Dai biancospini alle scale mobili (Futura, 2017), dizionario istorico-sentimentale che racconta il quartiere perugino a partire dalle siepi di biancospino che segnavano i confini dei campi, fino ai giorni delle scale mobili in piazzale Europa.
Pianesi si avvicina al racconto territoriale ben prima, quando, insieme alla casa editrice Ali&no, dà il via nel 1998 a I fuori guida, collana che propone un turismo più libero e lento di quello ufficiale, attento ai monumenti meno conosciuti e alle storie della gente nel corso dei secoli.
Quando gli chiedo come nasce il libro, Pianesi ironicamente risponde: “Tutta colpa di Francesco Berardi, presidente dell’associazione di promozione sociale Filosofi…amo. Conosco bene Francesco, è una persona molto dinamica. Quando mi ha detto che sarebbe stato bello realizzare un libro con le storie e la storia del quartiere, credeva lo conoscessi come le mie tasche. D’altronde io qui ci vivo da quarantacinque anni, ma ho cercato di non cedere, di dirgli che non c’è niente di così sconosciuto come il nostro quotidiano, come le nostre storie. Ma lui ha insistito e ha fatto bene, perché mi ha permesso di imparare un sacco di cose dalla gente con cui ho parlato, dai libri che ho letto. È stato un percorso lungo, orientativamente di un paio di anni, ed è stata forse una fortuna, in un certo senso, aver avuto una scarsa letteratura sui quartieri di semicentro perché questo ha fatto sì che la maggior parte dei contributi siano arrivati proprio dalle stesse persone che qui ci vivono da una vita”.
A tratti personale, a tratti storico-urbanistico, Dai Biancospini alle scale mobili si presenta come una specie di dizionario-zibaldone, come scrive lo stesso Pianesi nell’introduzione al libro: “Scrivere una storia del quartiere di via dei Filosofi mi sembrava troppo difficile. Ho preferito fare una specie di dizionario, di garzantina, ordinando le voci alfabeticamente, lasciando che i temi, le vie e i personaggi dialogassero tra loro, con la speranza che il lettore prenda gusto a percorrere questa scrittura nel modo che più gli piacerà. Se gli piacerà”.
Il primo ricordo che Pianesi ha di via dei Filosofi è una sera d’estate del 1966, la prima cena nella casa nuova con la sua famiglia, minestrina, fettina e insalata. Aveva cinque anni. Un paesaggio sonoro è senz’altro il ricordo che più di tutti si fa insistente, tanto da racchiudere tutti i suoni rievocati proprio nella ‘U’ di udito: il muggito delle betoniere, il rumore delle chiavi inglesi che cadevano a terra, le grida dei muratori in canottiera che si rincorrevano da un ponteggio all’altro, i loro canti appassionati mentre spalmavano di calce un’altra fila di mattoni. “Stavano costruendo un nuovo palazzo – scrive Pianesi – Un altro ne avrebbero tirato su, poi un terzo, un quarto e altri ancora, uno all’anno, urbanizzando quel che rimaneva di orti, alberi da frutta, olivi, vigne, canneti.” Non mancano poi le conte prima di giocare a guardie e ladri o a nascondino, il rumore assordante di una finestra spaccata da una pallonata maldestra proveniente da Largo Massimo D’Azeglio. Meglio conosciuto come il piazzale bianco per il tono chiaro delle sue piastrelle, Largo Massimo d’Azeglio è stato, per i baby-boomer di questa parte del quartiere, il luogo simbolo “dove un numero imprecisato di ex ragazzi ha fumato la prima sigaretta di nascosto, si è scambiato il primo bacio con la prima lei o il primo lui […]”. Oggi, mi racconta l’autore, versa in condizioni penose, un parcheggio pressoché pieno di buche.
Non mancano, nel corso delle pagine, anche simpatici aneddoti come quello di Goliath. “Un giorno del 1972, meraviglia delle meraviglie, si arenò su piazzale Europa una balena. Si chiamava Goliath, come il gigante abbattuto dal giovane Davide”. Si trattava di una balena uccisa in Norvegia nel 1954, svuotata completamente e riempita con 7.000 litri di naftalina, per poterla conservare ed esporla in giro per il mondo. Nessuno seppe però che tre anni prima Goliath era stata seriamente danneggiata da una tempesta mentre la trasportavano in Israele e che il suo impresario l’aveva fatta ricostruire quasi tutta in cartapesta.
Nel libro è possibile leggere di antenati, contadini, pittori e parroci residenti nel quartiere, perfino del figlio del campanaro di Palazzo dei Priori, un certo Aldo Capitini, vissuto all’ultimo piano di via del Villaggio di Santa Livia, al n. 103. Aldo Capitini fondò a Perugia nel 1944 il primo Centro di orientamento sociale (C.O.S.) come spazio nonviolento, ragionante, non menzognero aperto alla libera partecipazione dei cittadini, e nel 1952 fondò il centro di orientamento religioso (C.O.R.) assieme a Emma Thomas, “un’ottantenne quacchera inglese residente in via dei Filosofi”, così la descrive l’autore.
Da via dei Filosofi o dalla Pallotta prendeva l’autobus Paolo Vinti, per recarsi in centro e iniziare la sua giornata on the road, “l’ultimo favoloso irregolare della nostra città”. Ma via dei Filosofi vanta anche la libreria più longeva di Perugia, libreria Filosofi Bookshop, o meglio vantava fino a due anni fa, quando il negozio ha abbassato le saracinesche dopo ben cinquant’anni di attività. Nata nel 1969 su iniziativa di due ex-insegnati, è stata una vera scommessa. “‘Sembrava una cosa assurda, aprire una libreria fuori dal centro cittadino’, ricorda la signora Graziella. ‘[…] Decidemmo di aprirla in via dei Filosofi perché ci sembrava una zona adatta allo scopo, sebbene all’epoca fosse considerata estrema periferia’”. Da Bookshop si sono alternati nel corso degli anni nonni, figli e nipoti. “È davvero un peccato vederla chiusa, dal punto di vista affettivo era quasi sacra, era bello sapere che ci fosse”, aggiunge a malincuore Pianesi.
Un’ampia fetta del libro viene occupata poi dal polmone verde del quartiere, il parco Sant’Anna, in cui Pianesi portava a giocare i suoi figli da piccoli. “Ai tempi in cui ero ragazzino io il parco non era ancora praticabile, c’erano gli orti dei contadini, sembrava un paesaggio raccontato da Mark Twain. È un bene che ci sia, peccato non sia tenuto nel migliore dei modi, così come altre zone verdi della città. Ma ha un grande potenziale, usiamolo”.