Apre in via Diaz la nuova struttura di Agenda Urbana al servizio della comunità
Fontivegge, quartiere nevralgico della città, cuore dell’importante nodo ferroviario perugino, presto ospiterà in via Armando Diaz un grande Community e Family Hub rivolto ai cittadini. Il termine community hub si inserisce sempre più spesso nella cronaca delle nuove politiche sociali, resta però difficile darne una giusta definizione senza cadere in facili fraintendimenti. Quando si parla di Community Hub, ci si riferisce a un luogo fisico al servizio di tutta la comunità, a uno spazio, quanto mai ibrido, rivolto all’inclusione sociale. Etichettare la struttura come una “casa di quartiere” rischia di confonderla con i centri diurni per anziani che godono appunto di questa dicitura e hanno diverse finalità. É invece opportuno precisare che si tratta di un progetto destinato a ogni abitante, a prescindere dall’età. “Il Community Hub nasce con l’intento di riqualificare e presidiare, all’interno del Bando periferie e di Agenda Urbana, la zona di Fontivegge – ci spiega l’assessore ai Servizi sociali, famiglia, edilizia pubblica e pari opportunità del Comune di Perugia, Edi Cicchi – La struttura era già esistente e l’abbiamo migliorata aggiungendo quelle parti che erano mancanti e che adesso rappresentano uno spazio importante perché consentiranno di svolgere delle attività, delle azioni, che hanno un risvolto sociale importante. Apriamo il Community Hub con l’intento di farlo diventare la casa della comunità, la casa dei cittadini”. Al suo interno, ma anche esternamente visto che a disposizione ci sarà anche un grande giardino, sono previsti servizi, iniziative di diversa natura e spazi di condivisione. Un luogo organizzato per essere di tutti ma di nessuno in particolare, dove l’insieme di risorse territoriali come associazioni e scuole diventi un collettore di buone pratiche. Si tratta di un piano ambizioso, perché questo è un primo approccio a nuove pratiche di comunità. Non un lavoro ad personam ma un progetto che fa parte di un welfare comunitario, e coinvolge non solo la pubblica amministrazione, ma tutti i soggetti che a vario titolo operano nel territorio e lo vivono.
Perugia segue l’esempio di grandi città come Torino, Napoli, Palermo, Roma e Milano, dove sono già attivi questi centri della collettività, in cui l’inclusione di più soggetti, ancor meglio se differenti fra loro, ha fatto rinascere la vita di quartiere, consegnando una nuova energia a zone paralizzate e dimenticate. Non parliamo più di una periferia dormitorio, ma di un sobborgo dove fare teatro insieme, far giocare i bambini, creare progetti innovativi, essere gli attori principali delle proprie strade e avere sempre un punto di riferimento a cui rivolgersi nel momento del bisogno. L’apertura di questo luogo è il risultato del lavoro fatto attraverso i tavoli di coprogettazione, a volte un po’ complicati per via delle norme che ne rallentano i processi. L’architetto Franco Marini, coordinatore del Progetto Periferie e di Agenda Urbana sottolinea che “si tratta a tutti gli effetti di una scommessa, un modello nuovo per Perugia, che ha tutti i presupposti per poter essere poi replicato anche in altre parti della città”. “Si tratta – continua Marini – essenzialmente di luoghi di aggregazione e di vita associativa di un quartiere, che offrono non solo una varietà di servizi e attività rivolti a tutti, dai più piccoli ai più grandi, ma anche accoglienza”. Assistiamo dunque a una rigenerazione urbana a trecentosessanta gradi, in cui riqualificazione fisica e del tessuto sociale si incastrano perfettamente e il tema della gestione dei beni comuni si fa sempre più insistente. Rimane tuttavia un percorso in divenire. Trattandosi di un servizio pubblico, i cittadini non potranno solo usufruire dei servizi e delle attività organizzate, ma potranno adottare uno spirito propositivo, mettendosi in gioco in prima persona. Solo percependo questo luogo come un posto familiare, scatterà in ognuno la sensazione di sentirlo proprio e dunque di prendersene cura. Spetterà anche ai cittadini tenerlo in vita, trasformarlo in motore vivo del quartiere in un’ottica di gestione integrata e occupandosi dello spazio circostante.
“Lo immagino come un luogo bello e sereno da poter vivere, considerando che c’è anche un grande parco dove si possono svolgere moltissime iniziative. Però non si deve rischiare di aver fatto una bella casa e non abitarla”, sostiene l’Assessore Cicchi, ricordando poi i lontani tempi del boom economico del dopoguerra italiano. In quel periodo le condizioni delle famiglie migliorarono e molte poterono permettersi un salotto per la propria abitazione. Per quella stanza acquistavano un divano, senza togliere ma il cellophane che lo avvolgeva. “Ti potevi mettere seduta su quel divano, ma solo sopra il cellophane. Ecco, io non vorrei che fosse una casa di questo genere. Vorrei che fosse invece qualcosa di vissuto. Se poi ci dobbiamo rimettere le mani non importa, però non lasciamola incellofanata”.
Siamo di fronte a un cambio di prospettiva guidato da diverse forze in atto, sociali, economiche e politiche. Il punto di arrivo è passare dalla comunità familiare al familiarizzare nella comunità. Il Community Hub è il porto dal quale salpa questa nave.
Articolo di Federica Magro e Eleonora Proietti Costa
Foto di Francesca Boccabella