Le basi sono state gettate. Ora serve continuità, al di là di Agenda Urbana
Quello di Agenda Urbana è stato un percorso ricco di attività e sfide, che ha portato un soffio di innovazione nei quartieri periferici di Perugia attraverso un approccio multisettoriale propenso alla lettura dei bisogni delle comunità territoriali. Tutto questo è stato possibile grazie all’attivazione di nuove risorse umane e materiali. Risorse tangibili, come i beni comuni urbani, i portieri di quartiere e i patti di collaborazione, ma anche intangibili, come la promozione di un modo diverso di concepire il territorio, più vicino agli abitanti e ricco di momenti di collaborazione, co-decisione e confronto tra cittadini e pubbliche amministrazioni.
L’intento del terzo lotto, ovvero quello dell’innovazione sociale, è stato sviluppare nuove idee, metodologie, servizi e momenti di espressione. Potremmo allora chiederci oggi come il lavoro di agenda urbana sia riuscito a raggiungere le comunità del territorio attraverso i suoi interventi e allo stesso modo quali sono state le maggiori criticità che si sono dovute affrontare. Sappiamo che un bilancio dei risultati è ad oggi solo parziale poiché sarà necessario vedere se e quale impatto queste attività avranno a distanza di tempo, ma proviamo a capire a che punto siamo arrivati e quali sono gli esiti del lavoro svolto in questi mesi. Stefano Santaniello mi racconta quali sono stati, dati alla mano, i risultati raggiunti: “Abbiamo coinvolto, in forma singola o associata, oltre 70 cittadini, che hanno collaborato mettendo sul tavolo le proprie idee durante lo svolgimento dei laboratori sui tre territori, via dei Filosofi, Madonna Alta e Sant’Anna; successivamente, per ogni zona sono stati individuati quattro beni materiali o immateriali oggetto di possibili patti di collaborazione”.
Le diverse zone hanno seguito una strada complementare, che ha tentato di avvicinare singoli e associazioni in un percorso comune di sviluppo. Tra le diverse cose, è stato propedeutico mappare e individuare gli elementi significativi dei territori, insieme al percorso formativo sulla gestione dei beni comuni, perché è servito ad avvicinare le persone e stimolarle a esprimersi, rendendole partecipi su decisioni che per molto tempo sono state identificate come competenza amministrativa, capovolgendo il modo di pensare. I workshop territoriali, i momenti di partecipazione, l’individuazione di nuove reti locali, sono esempi di un lavoro che dovrà essere continuato e consolidato nel tempo, al di là del termine del progetto di Agenda Urbana.
Stefano, che ha coordinato il lavoro svolto, mi spiega: “Allo stesso modo, la risposta è stata influenzata dalle diverse caratteristiche di questi luoghi: in alcuni casi, la collaborazione degli abitanti è stata forte e crescente, in altri, invece, c’è stata difficoltà a intercettare reti solide e durature. Rispetto alla situazione iniziale, la struttura degli stakeholder si è modificata, alcuni hanno deciso di defilarsi, mentre altre realtà sopraggiunte hanno apportato un contributo significativo, consentendoci di attivare risorse trasversali anche al di là del lavoro iniziato da Agenda Urbana”.
Infine, ma non per importanza, c’è stata l’individuazione dei portieri di quartiere in ogni territorio, poi contrattualizzati da Borgorete. Le stesse attività dei portieri si sono modificate nel corso del tempo, intersecandosi con i bisogni: “Ad esempio, i ragazzi in queste ultime settimane si stanno dando molto da fare per la stesura ultima dei patti di collaborazione, e il loro ruolo risulta essere fondamentale”. La prospettiva è che questo ruolo divenga una professione autonomamente sostenibile, anche e soprattutto alla fine di questo percorso progettuale.
Allo stesso tempo, ci sono state delle problematiche nelle diverse attività, sia per fattori interni alla comunità che esterni e non controllabili “C’è stata, ad esempio, una difficoltà di coinvolgimento diretto della comunità – spiega Stefano – a causa della mancanza di rete sociale e della pandemia che ha frenato enormemente la parte relazionale; abbiamo faticato a costruire occasioni reali di confronto e partecipazione viste le tante restrizioni”.
Arrivati alla conclusione del progetto, si punta a dare una continuità ai laboratori sulla partecipazione e ai portierati di quartiere, perché hanno dimostrato delle grandi potenzialità per una futura rigenerazione sociale dei territori. Sulla scia dei portierati di Roma e Torino, e dei laboratori di sussidiarietà che stanno prendendo forma in tutta Italia, le prospettive si basano su una replicabilità futura. In realtà c’è la speranza che queste sperimentazioni abbiano insegnato qualcosa e possano fungere da input per coadiuvare i tessuti associativi locali e i territori, potenziando il lavoro di comunità attraverso l’impiego e l’impegno di nuove risorse. Sono obiettivi ambiziosi, certo, ma non per questo impossibili. Quello che sappiamo è che nel prossimo futuro questi esperimenti dovranno essere resi propri e promossi dalle stesse comunità, perché solo così potremo parlare di risultati veramente raggiunti.
Articolo di Ilaria Montanucci