Dalla rivendicazione alla proposta
Com'è cambiato il rapporto tra le associazioni di quartiere e la città. Incontro con Rivivi Borgo sant'Antonio e Borgo BelloBorgo Sant’Antonio è uno dei “borghi più belli d’Italia”, anche se è considerato da sempre più una strada che un borgo. Corso Bersaglieri ne è la spina dorsale, viene utilizzata come via di fuga dalla città. Le famiglie con bambini sono sempre meno, gli studenti sono di passaggio e il quartiere invecchia. Tutto intorno le antiche botteghe hanno chiuso, e la riscoperta degli storici oratori è una scommessa per l’associazione.
Borgo Bello è percorribile solo in uscita dalla città ma intorno vive un quartiere con cento attività economiche, trenta attività enogastronomiche, quattro teatri, due auditorium, il Circolo del Tempo Buono e la parrocchia.
David e io ascoltiamo e interroghiamo i nostri ospiti. L’architetto Claudio Minciotti è tra i fondatori di Rivivi Borgo Sant’Antonio. Esprime sicurezza e competenze, ci accompagna attraverso l’evoluzione della città senza nostalgie e con la lucidità di chi padroneggia la storia per non farsi sorprendere impreparato dal futuro. Nonno Orfeo è il soprannome che gli studenti americani hanno riconosciuto al fondatore dell’associazione Borgo Bello. Nella sua vita ha avvicinato al volontariato generazioni di studenti. Raymond Lorenzo è di New York, è un’autorità nel campo della partecipazione; arriva all’appuntamento trafelato di ritorno da un campo nomadi della Capitale.
A Perugia lavora insieme alla figlia e collega Viviana nel corso Urban Spaces – Rebuilding Community in Perugia dell’Umbra Institute. Rivivi Borgo Sant’Antonio ha raggiunto i trecento soci in tre anni ma non tutti vivono nel Borgo. Alcuni sono antichi abitanti, altri semplici simpatizzanti. Inizialmente ognuno faceva tutto ma col tempo si sono dati un’organizzazione e una divisione dei compiti basata sulle competenze individuali. Questo ha permesso di differenziare l’intervento: urbanistico (viabilità e vivibilità di Porta Pesa e corso Bersaglieri); imprenditoriale (riattivazione delle antiche botteghe), sociale (iniziative ed eventi); artistico (restauro di edicole e oratori).
L’associazione Borgo Bello è stata a lungo sovrapponibile con la figura di Orfeo. Oggi è lui stesso che promuove il passaggio a una organizzazione meno pionieristica e ci racconta del primo fortuito ma proficuo spin-off. Borgo Bello ha animato negli ultimi anni l’intera vita del quartiere ma è ora di cambiare. “Non si può fare tutto, sono necessarie delle scelte”. Il Distretto del Sale si sta specializzando negli eventi risultando complementare. Sull’altro fronte sono nati i Gam (Gruppo autorganizzato di manutenzione), a cui il Comune ha affidato alcuni compiti mettendo a disposizione attrezzature e locali. In coro: “Da quando abbiamo modificato la nostra azione da rivendicativa a pro-bio-attiva la situazione è cambiata radicalmente. Nel passaggio da chiedere a dare sono cambiate le modalità di relazione con il governo della città e con i cittadini. Oggi trattiamo alla pari perché siamo riconosciuti come interlocutori e risorsa”.
Mark e Mignon hanno scelto cinque anni fa di fermarsi a Borgo Bello. Da allora tante cose sono cambiate a partire dalla partecipazione. La cultura anglosassone è portata a intervenire in prima persona chiedendo all’amministrazione più una funzione di autorizzazione e controllo. “È necessario scardinare una mentalità assistenzialista per cui partecipare equivale a privatizzare… Da quando gli altri cittadini ci vedono pulire hanno iniziato ad agire comportamenti virtuosi perché la bellezza porta bellezza”.
Dopo due ore di chiacchiere ci sarebbe ancora molto da approfondire, ci salutiamo con una riflessione da cui ripartire: “Sarebbe opportuno che gli eventi avessero respiro cittadino e li organizzasse il Tavolo delle associazioni. Le singole realtà potrebbero cosi concentrarsi sulla qualità della vita nei micro-territori”. Su questo non c’è convergenza ma su un punto tutti sono d’accordo: “È necessario mettere al centro la bellezza delle relazioni, dell’arte, dei luoghi”.
Testo di Max Calesini