Promosso da Cia Umbria e inaugurato la scorsa settimana, il Mercato Arco Etrusco fa convergere in piazza Puletti eco-sostenibilità, rigenerazione urbana e socialità. Sarà aperto ogni venerdì dalle 12 alle 19
A pochi metri dall’Arco Etrusco, sotto un cielo grigio che sembra invernale, il rosso delle fragole appare ancora più lucente mentre i mazzetti di asparagi, intirizziti anche loro, ci ricordano che nonostante tutto è già primavera. Intanto dei barattoli di vetro racchiudono i tesori dell’Appennino e, sotto una catena di gazebi bianchi con su scritto, in verde, Cia, i venditori di una decina di bancarelle sistemano veloci i propri prodotti sopra le tovaglie a quadri: lo scambio di idee tra colleghi a un’ora dall’inaugurazione di un nuovo progetto non può che essere concitato, ma l’entusiasmo che sprigiona scalda l’aria gelida. “Sono emozionatissimo”, mi confessa Domenico Lizzi mentre solleva una panca di legno, i capelli arruffati per l’umidità. Domenico lavora per la sede umbra della Confederazione Italiana Agricoltori (Cia) ed è una delle anime che ha ideato e dato vita al ‘Mercato Arco Etrusco’ inaugurato pochi giorni fa in piazza Puletti dove ogni venerdì, dalle 12 alle 19, sarà possibile acquistare frutta, verdura, pasta, legumi, vino, birra e altri prodotti del territorio. Promotori dell’iniziativa, a fianco di Cia Umbria, le associazioni dei residenti e commercianti di quartiere, il Comune di Perugia, l’Università per Stranieri: un’operazione plurale di cui in sede di conferenza stampa vengono sottolineati a più voci gli aspetti “non-convenzionali”. Agri-cultura, filiera corta, gruppo di acquisto solidale, attenzione alla salute: concetti innovativi, sì, ma non così tanto da non sollevare, dalla platea dell’Aula Magna di Palazzo Gallenga, un consenso unanime e legittimo. L’apertura del mercato in fascia pomeridiana vuole andare incontro alle esigenze dei lavoratori, mentre la scelta della sede, a pochi passi dall’Università per Stranieri, mira a combinare dimensione locale e globale. “Se si fosse dovuto guardare il lato prettamente economico, piazza Puletti non sarebbe di certo stata la prima scelta, anche per un semplice problema di parcheggio”, spiega Matteo Bartolini, presidente di Cia Umbria, dichiarando l’intento di portare avanti l’operazione di rigenerazione urbana già avviata in quest’area un paio di anni fa. “Veniamo qui per fare un’alleanza con la popolazione che abita questo territorio: il nostro ruolo, infatti”, continua, “è quello di mettere assieme le anime di chi produce e chi consuma, aggiungendo, però, altri elementi.” Come, ad esempio, la possibilità di usufruire della consulenza di una biologa nutrizionista, che ogni venerdì dalle 12 alle 14.30 si muoverà tra le postazioni del mercato orientando i consumatori verso scelte di acquisto consapevoli, sulla base della stagionalità degli alimenti e dell’impatto ambientale della loro produzione.
Il taglio del nastro a più mani, poco dopo mezzogiorno, è pura formalità istituzionale: per usare le parole dell’antropologo Piero Camporesi, la piazza si è già trasformata in un teatro “animato e pulsante” dove stanno avvenendo scambi che non sono “soltanto merceologici, ma anche culturali”. Diversamente dai supermercati, “luoghi dell’immediato”, nei mercati tra il compratore e l’oggetto desiderato si frappone un “mediatore, interprete, trasmettitore, conoscitore”, attraverso il quale, “in un tempo che non è soltanto quello dell’acquisto, del prendi ed esci, ascoltando, annusando, esercitando forme di conoscenza non convenzionali, si può anche imparare e riflettere”. Questo ruolo di mediatrice Federica di ‘Ortoingiro’, sistema agricolo della Valtopina, sembra incarnarlo alla perfezione, e davanti alla sua bancarella ci ritroviamo appunto a meditare, in un gruppetto di tre-quattro persone incuriosite non solo dall’aspetto invitante dei suoi prodotti, ma anche dalle due foto appoggiate con cura tra le uova, i porri e le passate di pomodoro. “Sono Olivia e Liberata, le cavalle che lavorano con noi”, racconta l’agricoltrice, illustrando i vantaggi che il passaggio dal trattore al cavallo ha apportato al suo lavoro: “una transizione meravigliosa: sui campi marginali e scoscesi come i nostri, con il cavallo si riescono a recuperare quelle porzioni di terra in abbandono dove con il trattore non si arriva, e anche il terreno ne trae beneficio.” Le sue cavalle lavorano due-tre ore al giorno, e non tutti i giorni. “Secondo me non può esistere agricoltura senza animali: ‘Ortoingiro’ non è un’azienda agricola, ma un sistema agricolo, all’interno del quale ci troviamo anche noi, insieme alle galline, le papere, le cavalle, le istrici, il lupo”, spiega. “Quando si dibatte relativamente all’opportunità o meno di mangiare la carne, io credo che il problema non sia la carne in sé”, conclude decisa, “ma il sistema industriale che si è infilato in tutti i settori. Io sto in campagna, la morte fa parte della mia quotidianità: la carne delle galline io la mangerei, ma la volpe arriva prima di me.”
Accanto a Federica suo figlio Ernesto, una ventina d’anni e lo sguardo vivace sotto il berretto nero, attende paziente che qualcuno raccolga la sua sfida a scacchi. Io continuo a muovermi tra le bancarelle, più in cerca di altri “trasmettitori” che di merce, e allora faccio la conoscenza di Mario e Luca della cooperativa ‘La Semente’, nella zona di Spello, che mi parlano di questo progetto di imprenditoria sociale e assistenza terapeutica nato da un’idea dell’Associazione nazionale genitori soggetti autistici (Angsa) Umbria, e di Franca dell’agriturismo ‘Il Corniolo’, neofita di mercati cittadini: “Di solito in questi contesti si ha sempre la sensazione di essere il concorrente di chi si ha a fianco, si guardano i prezzi, si studia il vicino… per questo motivo non mi piaceva frequentarli. Qui, invece”, racconta, tirando su la testa da dietro i pacchi di pasta di farro e i barattoli di marmellata, “abbiamo costruito questa cosa insieme: ognuno ha messo un po’ del suo, ci stiamo conoscendo e stiamo scommettendo su qualcosa che all’inizio sarà un sacrificio per tutti, sia per chi l’organizza che per noi, ma ci vogliamo credere. Siamo sicuri che qualcosa tornerà indietro”.
Intanto, tra le chiome degli alti lecci che circondano questa piazza, sorella minore di piazza Fortebraccio o, come la chiamano i perugini, piazza Grimana, di tanto in tanto filtra un cenno di primavera. Che stringano labili manici di buste biodegradabili colme di frutta o verdura o portino alla bocca un bicchiere di vino, le mani dei presenti si riscaldano di una rinnovata socialità. Franco Mezzanotte, presidente dell’associazione Vivi il Borgo del quartiere di Porta Sant’Angelo, esprime senza mezzi termini il proprio entusiasmo: “L’apertura di un mercato di questo tipo è una grande forma di incoraggiamento, spinge a incontrarsi, a frequentare un luogo, e a chiedere a chi lo abita se le cose vanno meglio, perché con l’età avanzata – e la maggior parte di noi residenti di questo quartiere è in là con gli anni – l’auspicio è che le cose non vadano bene, ma meglio”, racconta con ironia, il marcato accento perugino con cui rivendica le proprie origini etrusche. “Io sarò uno dei primi clienti del mercato: oggi mi serve la frutta e non saprei proprio dove andare, perché i negozi di vicinanza purtroppo non esistono più. Ora”, conclude, “attendo soltanto l’apertura di una macelleria di quartiere: gli etruschi, si sa, erano ghiotti di carne di maiale”.
Beatrice Depretis