Nato come sanatorio, oggi è un patrimonio della città quasi nascosto
La prima impressione che si ha giungendo di fronte al cancello del parco del Grocco, in via della Pallotta, è quella di ritrovarsi in una specie di zona protetta. Se da un lato si teme quasi di entrare, una volta dentro ci si sente subito al sicuro, immersi in un verde totalizzante.
Quella del Grocco è la storia di una lunga trasformazione. Fu costruito intorno al 1932-1935 dall’Istituto Nazionale Fascista di Previdenza Sociale, secondo il Piano nazionale per la costruzione dei sanatori locali del 1928, il quale aveva istituito l’assicurazione antitubercolare obbligatoria per i lavoratori dipendenti. Fino al secondo dopoguerra, infatti, l’unica cura della tubercolosi consisteva nella terapia sanatoriale, basata su lunghe degenze, buona alimentazione e sulla ‘cura d’aria’ a cui i pazienti venivano sottoposti per molte ore al giorno, come è possibile leggere dal dossier Centro Servizi Grocco. Storia di una trasformazione, a cura di Elena Bongini Vagni e consultabile presso l’ISUC, Istituto per la storia dell’Umbria Contemporanea.
L’ospedale, sorto sul versante sud-ovest di Perugia, tra il centro storico e la periferia, aveva una particolare posizione ritenuta ideale per la collocazione di una struttura sanitaria che coinvolgesse gli interessi della città e del territorio esterno. L’originario sanatorio era un edificio di notevoli dimensioni, risultato di una parallela ricerca tra architetti e medici su un tipo di architettura che consentisse al massimo di godere, anche nei periodi invernali e bui, del sole e del caldo, per alleviare i sintomi e facilitare la guarigione della tubercolosi. L’edificio sorgeva al centro del parco circostante creato ex novo, con alberi ad alto fusto scelti appositamente per le loro proprietà balsamiche. Verde di cui è ancora possibile fruire i benefici, come dimostra il monitoraggio del 2020 effettuato da ricercatori botanici del Crea (Centro di ricerca Politiche e Bio-economia) e del Cnr (Servizio di Riabilitazione Respiratoria e Prevenzione Tisiopneumologica) nell’ambito del progetto internazionale Breathing in the parks per il benessere respiratorio nelle aree verdi urbane. Dalla ricerca risultano presenti 788 piante arboree e arbustive di 30 specie diverse, come pini, cipressi e cedri. Inizialmente chiamato “Pallotta”, il suo nome cambiò in “Pietro Grocco” dal celebre medico Pietro Grocco (1856-1916), fondatore di una importante scuola medica, che ebbe tra gli allievi anche Raffaello Silvestrini. Negli anni ’80 il Comune di Perugia, nel frattempo diventatone proprietario, decide di destinare una parte della struttura all’Ulss (oggi Usl Umbria 2). A partire dal 2009 diventa Centro servizi Grocco, riunendo una serie di servizi territoriali, come quelli di continuità assistenziale (ex guardia medica), riabilitazione respiratoria, cardiologia e prevenzione patologie cardiovascolari, o ancora neuropsichiatria e riabilitazione dell’età evolutiva. Dispone di due strutture residenziali afferenti al Distretto del Perugino, l’rp (residenza protetta) e l’rsa “Casa dell’Amicizia A. Seppilli”, quest’ultima attivata nel 1996 e attualmente caratterizzata anche da reparti Covid. Il centro, inoltre, ha un servizio del Dipartimento di Prevenzione, la Medicina dello sport che si occupa anche della promozione dell’attività sportiva e alla quale fanno per lo più capo tutte le attività inerenti al parco.
Sono gli anni 2000 e finalmente s’intravede una rinascita anche per il polmone verde perugino. Ciò è reso possibile grazie al dottor Bruno Stafisso, a quel tempo responsabile della Medicina dello sport, che tutte le mattine percorreva il parco per andare a lavorare: “Poter raggiungere il posto di lavoro attraversando quel verde era davvero rigenerante, ma al tempo stesso cresceva sempre più in me la consapevolezza di quanto fosse una risorsa poco valorizzata. In quegli anni si stava progettando la promozione dell’attività fisica anche come servizio della Medicina dello sport, e allora pensai: perché non realizzare una palestra a cielo aperto rivolta a tutti i cittadini, specie a quelli con patologie?”. Mettere in piedi uno pseudo ambulatorio all’aperto avrebbe un po’ chiuso il cerchio del progetto.
E così dopo alcuni anni, l’11 novembre 2011 prende vita il Parco Attivo, prima esperienza a livello nazionale in cui un’azienda della sanità pubblica realizza un impianto all’aperto per la promozione di uno stile di vita sano, dove alla base c’è il movimento fisico visto come prevenzione delle malattie, prime fra tutte quelle cardiocircolatorie. Il progetto prevede un campo polivalente, percorsi per camminate libere, spazi attrezzati, un’area giochi per bambini, e inizialmente anche una piccola piscina coperta a scopo riabilitativo, ma che poi per problemi tecnici di gestione è stata trasformata in palestra per svolgere attività e corsi. Non sono di certo mancate difficoltà iniziali. “La struttura sanitaria normalmente ha medici, infermieri, oss, ma non dispone di personale laureato in scienze motorie – precisa Stafisso – Così ho pensato di creare una convenzione ad hoc con l’Anam, l’Associazione Nazionale Attività Motorie. Con i suoi professionisti e sotto il coordinamento dei medici è stato possibile realizzare attività rivolte a soggetti con problematiche specifiche come cardiopatia, ipertensione, obesità, ma anche progetti relativi all’attività del benessere”. Tra queste c’è Passegym, una ginnastica post parto, ma anche il Tai Chi ch’uan organizzato dall’associazione Il Kung Fu e il Nordic Walking organizzato dall’associazione scuola italiana Nordic Walking.
“Riuscire a usufruire di un giardino pubblico per favorire la ripresa e la guarigione di pazienti mediante l’attività motoria dimostra come quest’ultima, molto spesso, sia la vera medicina”, afferma entusiasta Antonio Donato, presidente dell’Anam. E ciò è testimoniato dai molteplici casi di successo seguiti dalla stessa associazione e raccolti nel libro Un sogno in movimento, da lei pubblicato. “A fronte di un intervento chirurgico o di una patologia cronica, molti pazienti hanno riacquisito non soltanto benessere fisico, ma hanno anche riscontrato benefici a livello psicologico, affrontando la malattia in un contesto di socialità”, continua Donato.
Negli ultimi anni, tuttavia, le attività si sono via via ridotte, fino allo stop definitivo a causa della pandemia. Ciò che resta è un parco pressoché deserto, se non fosse per due ragazzini che giocano a basket o un’anziana signora che, munita di stampelle, si avvia lungo il viale principale. Il parco, se pur in buone condizioni, necessiterebbe di alcuni interventi di manutenzione. L’attuale direttrice della Medicina dello sport, la dottoressa Antonella Maria Primerano, si dice pronta a rilanciare l’utilizzo di questi spazi: “Poco prima dello scoppio della pandemia, stavamo organizzando una giornata di attività insieme alle farmacie comunali della città. In quel caso avremmo rilanciato diverse attività come il Tai Chi ch’uan e il Nordic Walking. Ora che la situazione sta lentamente progredendo siamo in contatto con l’Anam per far ripartire alcune attività indoor già nel mese di febbraio, con la speranza che da maggio anche la parte esterna possa essere riutilizzata come merita. Molti cittadini e abitanti del quartiere, infatti, non sanno ancora dell’esistenza di questo parco, ed è un vero peccato.” Che sia un segno di ripartenza per un tesoro ancora troppo in ombra, bisognoso di risplendere finalmente di luce propria.
Articolo e foto di Eleonora Proietti Costa