La Brocante è un ‘mercato delle mille occasioni’, che si svolge al Parco Rimbocchi con cadenza mensile
Conservare un oggetto ne preserva anche l’anima. E pure quando l’usura e il tempo ne hanno consumato le superfici o distrutto i meccanismi, una volta tirati fuori da cassetti muffiti e cantine impolverate, è pronta per loro una nuova vita. Passando di mano in mano, di proprietà in proprietà, ninnoli e marchingegni possono accumulare e poi evocare ricordi inediti.
Dopo aver vissuto dieci anni a Bruxelles, Norwena Chiara si è stabilita a Perugia due anni fa, organizzando al Parco Rimbocchi il primo mercatino delle pulci a marzo 2020: “La Brocante è un evento che in molte città nordeuropee è coordinato dall’amministrazione comunale. Lì si chiudono interi quartieri, e la gente comune si riversa per strada per vendere ciò che trova nelle proprie cantine. Quando sono venuta qui al parco per una cena di beneficienza tenuta al Circolo Mirò, ho notato il potenziale di questo spazio e ho pensato di lanciare un evento che ancora a Perugia non esisteva”.
Da giugno 2021, dopo la pausa imposta dalla pandemia, la Brocante si svolge mensilmente nelle date condivise sui social media dell’evento. Le parole d’ordine del mercato sono ‘recupero’ e ‘socialità’: circolando tra le bancarelle, è chiaro che al mercatino non solo si barattano e acquistano oggetti, ma si incontrano persone, si scambiano racconti e storie. Un aspetto che sottolinea la stessa Norwena: “Questo non è un mercatino dell’antiquariato. I partecipanti non possiedono partita iva, e sposano soprattutto il concetto del riuso e della sostenibilità”. Una delle brocanteurs più assidue, una signora di origini pugliesi soprannominata Papavero, spiega la filosofia che anima questo evento: “Non siamo qui per lucrare, ma spinti dal desiderio di rendere utile a qualcun altro ciò che possediamo, e a che a noi non serve più”.
Il parco-bazar si trasforma nei giorni del mercato in una scenografia votata alla serendipità: sui banchetti improvvisati si accatastano volumi di filosofia ingialliti, angeli di porcellana, splendidi cappotti alla Janis Joplin; sui rami degli alberi e le catene di un’altalena si appendono abiti da gala e salopette, mentre, su coperte all’uncinetto adagiate sul prato, è possibile scovare ventagli di vinili e foulard variopinti. I bancarellari non hanno un posto assegnato: ci si sistema dove si arriva, stringendo alleanze e relazioni con i vicini di bancarella con cui si condividerà l’intera giornata. Camminando al mercatino si intercettano stralci di conversazioni tra venditori e acquirenti: “Questi bottoni li ho trovati nel casale antico che ho ereditato”; “Quello specchietto retrovisore della Citroën DS quanto viene?”; “Sono paralumi che io ricamo col punto parigino…”.
Oltre ai venditori dell’usato, ci sono al lavoro anche i volontari del Repair Cafè. Si tratta di un’iniziativa di origine olandese, attuata a Perugia secondo una formula itinerante dal 2017 e facente riferimento all’associazione Rifiuti Zero Umbria. I riparatori e le riparatrici, dotati di competenze che vanno dall’elettronica alla saldatura, fino alla sartoria, occupano coi loro strumenti una serie di tavolini e operano su oggetti di ogni sorta, dalle vecchie teiere in rame ai calzini bucati. L’approccio di questi volontari, che ottengono dalla loro attività un compenso simbolico, è quasi di tipo medico, come racconta Annarita Guarducci, presidente del Repair Cafè di Perugia: “Gli oggetti sfasciati che ci vengono portati sono inizialmente sottoposti a una vera e propria diagnosi, condotta dai riparatori. A volte non c’è proprio speranza di recupero; altre volte c’è solo uno strato di fuliggine a illudere il consumatore dell’inutilizzabilità di un telecomando. In un’occasione è bastato pulire dalla polvere un vecchissimo registratore a nastro, per far riascoltare la voce di una persona cara a un signore che si era rivolto a noi”.
Annarita annota su un taccuino il nome e l’oggetto da riparare delle persone che si presentano al Repair Café: “Da qualche mese è stata emanata una normativa europea che ha riconosciuto agli elettrodomestici il diritto alla riparazione e l’assegnazione di un loro grado di riparabilità. Questo è un passo per debellare la cultura della sostituzione e dell’abbandono degli oggetti, e restituire una possibilità di cura a quanto si ritiene irrecuperabile. La nostra idea è di diminuire il numero di rifiuti prodotti e avere un atteggiamento propositivo rispetto a un eventuale riutilizzo”.
Articolo e foto di Anna Mirabella