In giro col Pat

In giro col Pat

Il Programma di accompagnamento territoriale di Ser.T e Borgorete propone un cambio di paradigma nel lavoro sulle dipendenze. E sembra funzionare
Daniele, Massimo, Luciano, Milena. Francesca. E poi gli altri. Vanno allo stadio, vanno al lavoro, vanno in biblioteca. Magari si rompono una gamba, o un braccio, e allora vanno anche all’ospedale. Magari scrivono poesie, e non sempre trovano il coraggio di farlo sapere a chi gli sta intorno. Hanno padri, sorelle, hanno mogli e figli. E vivono a Perugia, da sempre o da qualche tempo. Gente comune, che porta avanti la propria vita cercando di fare il proprio meglio, come noi, come quasi tutti. Naturalmente è faticoso. Per loro un po’ di più, c’è poco da fare, perché questi ragazzi, queste donne e questi uomini, ne hanno viste tante. Perché tutti loro, per un motivo o per l’altro, a un certo punto dell’esistenza si sono ritrovati a fare i conti con la droga. Sono diventati tossicodipendenti, già. I tossici. E poi il Ser.T, o le comunità, chissà. E le loro reti di relazioni assottigliate, sfaldate, strappate. Eppure Daniele, Massimo, Luciano, Francesca, Milena, non mollano. E il PAT, con tutte le difficoltà di questo mondo, vuole aiutarli a non mollare. E a sentirsi, fin dove possibile, né più né meno che cittadini, alla stregua di chiunque altri.

PAT sta per Programma di accompagnamento territoriale, ed è un progetto condotto da Ser.T e cooperativa Borgorete. Nessun buonismo esasperato, nessuna retorica da pubblicità progresso: qua si sperimenta un modello di partecipazione. Quella dei ragazzi alla vita della propria comunità. Ci sono altri ragazzi, tutti tra i trenta e i quarant’anni, che li accompagnano nel quotidiano. Sono operatori sociali, e per loro diventano dei punti di riferimento. Vanno insieme in biblioteca, vanno insieme allo stadio, vanno insieme a fare spesa. E insieme, magari, recitano qualche poesia. Poi c’è sempre il Ser.T, chiaro, c’è la terapia, perché continuare anche lungo i binari canonici di chi cerca di tirarsi fuori dalla dipendenza è necessario, però il cuore del PAT è in giro, è per strada, e tra la gente. E al Ser.T ci sono gli psicologi, i medici, gli infermieri, gli assistenti sociali, e tutti entrano a far parte della cerchia che sta intorno ai ragazzi, insieme agli operatori. L’équipe si parla, si confronta, si racconta. Monitora e detta la linea. E ascolta.

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L’idea insomma è quella di provare a staccare di dosso ai partecipanti l’etichetta che si portano dietro chissà da quanto. Al cospetto degli altri, e di se stessi. Di abituarli a pensarsi come cittadini coi propri doveri e i propri diritti, a prendersi cura di sé e dei propri interessi, a coltivare rapporti nuovi e a recuperare quelli vecchi. Di aiutarli, insomma, a migliorare la loro qualità della vita. È complicato, trovare il proprio posto nel mondo è duro per tutti, ma per qualcuno di più. Perugia, poi, negli ultimi anni si è un po’ incattivita. La crisi economica, le insicurezze diffuse, la clamorosa narrazione della “capitale italiana della droga”, i cortocircuiti culturali: in molti si danno da fare per proporre visioni comuni e costruttive, spesso efficacemente, ma il tessuto sociale, in generale, soffre. E quindi un tossicodipendente, per molta gente, rimarrà sempre prima di tutto, se non solo, un tossicodipendente, oggi come e più di prima. Alla base del PAT c’è il tentativo di offrire una prospettiva diversa, a chi partecipa e a chi, a qualunque titolo, fa parte del suo ambiente. Cercando di far uscire questa gente dall’enclave diffusa in cui si ritrovano a vivere, non rassegnandosi a lasciargli abitare i margini della società o l’oscenità dello stigma negli scantinati bui e remoti dei trattamenti puramente sanitari.

Funziona, il PAT? Forse è ancora presto per dirlo. L’Impressione è che di sicuro stia mettendo in atto un cambio di paradigma, al quale nessuno è immune. Né gli utenti, né gli operatori, né il personale del Ser.T. Né, per quanto conti, chi per qualche ragione è chiamato a raccontare quest’esperienza, come è capitato a «Luoghi Comuni». E di sicuro non può finire qui, questo racconto. Anzi, per certi versi è appena cominciato.

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Testo di Giovanni Dozzini

Immagini estrapolate dal documentario sul PAT realizzato da David Montiel e Giovanni Dozzini